A. Canova è tra i massimi esponenti del Neoclassicismo. Consapevole e vicino alle vicende storiche dell’epoca, costruisce intorno a sé un ideale artistico piuttosto originale ed esclusivo. Come i pittori dell’epoca, è attratto dal mondo antico e dal classico, tant’è che le sue opere incarnano la bellezza eterna delle antiche statue greche. Questa corrispondenza, di stile ma soprattutto di ideale la si evince, non solo dalla perfezione con cui modella l’anatomia dei corpi ma, anche dal sentimento di leggerezza, dolcezza e incanto che gli conferisce. Realizza la morbidezza del marmo che accarezza il silenzio vivente, composto delle sue opere. Dopo un breve periodo di apprendistato nella sua città natale, giunge a Roma, città nella quale gli echi del seicento berniniano facevano ancora da padrona. I temi ai quali Canova si ispira spesso sono quelli mitologici (si ricordi Amore e Psiche del 1788, Teseo e il minotauro del 1783) e i monumenti funebri (si ricordi la tomba a Papa Clemente XIV e a Papa Clemente XVIII). Il tema del monumento funebre è molto sentito, la morte non è più vista come” il dramma della vita ma, come il sonno che calma i dolori”, e pertanto A. Canova, a dispetto delle stravaganze pittoriche e teatrali barocche, dà all’opera “un tono di calma e nobile bellezza”. Una bellezza che non ha bisogno di travestimenti preziosi ma, della forma pura simmetrica e solida. Anche quando si tratta di glorificare un eroe, lo coglie sempre nel momento della quiete, dello sforzo superato, nel riposo dalle fatiche del corpo e della mente.
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